Come ci insegna bene la storia di Harutyunyan, in molti paesi lontani dagli stereotipi della “grande cucina europea”, ragazze e ragazzi stanno traendo ispirazione dal modus operandi della cucina nordica, ovvero rintracciare ingredienti locali e provare a costruire modi nuovi di proporli o conservarli. Proprio su questi presupposti il ristorante Tsaghkunk ha chiamato per un progetto speciale uno dei padri fondatori della cucina nordica, Mads Redsflund, co-fondatore del Noma, che è venuto qui per un progetto di ricerca di tre settimane approfondendo natura, tecniche di cottura antiche e non della cucina armena. Con la chef del ristorante, Sussana Ghukasyan, ha studiato piatti e tecniche per valorizzare ingredienti e preparazioni.
Tre settimane non sono molte per capire bene un paese o la sua cultura gastronomica, ma quando incontro Redsflund il suo approccio mi pare abbastanza convincente e lontano dal “colonialismo alimentare” che immaginavo all’inizio. “Ho iniziato a documentarmi cinque mesi fa, prima di arrivare qui, ma effettivamente la ricerca fisica è partita solo tre settimane fa. Ho cominciato assaggiando piatti e ingredienti e da lì col mio team abbiamo fatto la nostra selezione di ciò che ci sembrava più interessante. Sono arrivato qui con una mentalità molto aperta e mi sono ritrovato davanti a una realtà pura, incontaminata, con molte potenzialità. È proprio adesso che si sta creando il DNA della cucina contemporanea armena”.
Una delle cose più incredibili secondo Redsflund è la qualità della carne armena: nonostante abbia smesso di mangiare carne una volta trasferitosi negli Stati Uniti, perché in forte disaccordo con l’industria americana, lo chef ci parla di come qui la carne sia completamente diversa. L’altra cosa che trova molto interessante sono i metodi di cottura, come il celebre Tonir, forni scavati nel terreno, dove si cuoce anche il lavash, con il fuoco. Cucinare con il fuoco è infatti anche il nuovo concetto dietro il ristorante newyorchese che Mads Redsflund aprirà probabilmente la prossima primavera.
Le case in Armenia anticamente avevano tonir dentro le mura, scavati nel pavimento. Come si vede spesso anche per le cotture del pane georgiano e quello indiano, qui il lavash viene cotto sulle pareti del forno:“Tutto il rituale attorno al lavash lo rende lavash, altrimenti se ci pensi è solo farina, acqua e sale, e potrebbe essere una comunissima focaccia bassa, ma è tutto quello che c’è dietro la sua preparazione che lo rende così speciale”.
Nel tonir si cuoce anche l’agnello, per esempio, che viene appeso nel forno. Per Redsflund è un modo di cucinare emozionante, antico e allo stesso tempo controllato di cucinare con il fuoco. Lo studio di Mads in Armenia si conclude con una cena in cui tutti i sapori armeni vengono fuori all’ennesima potenza e a cui Susanna Ghukasyan, chef del ristorante, si ispirerà.
Susanna Ghukasyan è la chef del ristorante Tsaghkunk. Arriva qui nel marzo 2021 dalla capitale Yerevan e ha lasciato tutta la sua vita per trasferirsi qui, in un paesino rurale in mezzo alla natura. Lavorava come cuoca nei ristoranti di Yerevan e al momento, mi dice ,“Non c’è nulla del genere lì. Non si tratta soltanto di cibo qui, ma si tratta anche di sviluppo della cultura armena, abbiamo dei progetti con i più giovani. In questo villaggio non ci sono molte opportunità per i più piccoli, questa struttura può fare la differenza.”
Si innamora del progetto e decide di investire tutte le sue forze qui, portando anche tutta la sua brigata. Quello che assaggiamo fatto da lei durante uno dei sei pasti di una normale giornata armena è semplice, molto vegetale, ma ha sicuramente un gusto più sofisticato. Ci spiega mentre ci serve della bacche conservate: “Quando sono venuta qui mi sono fatta ispirare dalla natura qui intorno. Durante la bella stagione quasi ogni settimana trovo nuove erbe che non conoscevo e che utilizzo nella mia cucina stagionalmente”. Le chiedo di dirmi perché secondo lei la cucina armena è speciale: “La frutta e verdura, che hanno un sapore unico, e l’ospitalità armena, che fa parte effettivamente di tutta l’esperienza della cucina.”